
SOMEWHERE PARALLEL - ALTERATE VISIONI
C’è qualcosa di parallelo e di alterato in questo progetto di Francesco Candeloro e Arthur Duff per l’appunto Somewhere Parallel – Alterate Visioni, che ne stabilisce le similitudini e che, al tempo stesso, ne identifica le variazioni. Se fosse una composizione musicale sarebbe un contrappunto doppio poiché proprio di una combinazione di linee di pensiero indipendenti si tratta. Inoltre, l’esigenza comune dei due artisti di disegnare il progetto e reificarne l’opera, rimanda inevitabilmente a esperienze avanguardistiche e post-avanguardistiche di sperimentazione collettiva che sembrano quasi estinte in questa era di esasperato individualismo post-moderno. Ed è proprio per la contemporanea disaffezione a una progettualità condivisa che Somewhere Parallel - Alterate Visioni reca i segni di una anomalia operativa che però, in questo caso, diventa esclusività.
Certo è che le due singolarità debbano scambiarsi una moltitudine di valori e affinità per avventurarsi in un progetto di collaborazione che si è avvicendato nel tempo di costruzione dell’opera (un making strutturato in siti e città distinti) e si è concretizzato nell’obiettivo prefissato.
“Attenti a quei due!”, verrebbe da dire post esperimento.
Davanti a questa forma di esperienza coestesa, infatti, si è come dinanzi ad una configurazione di quell’ “essere singolare plurale” nell’accezione in cui il filosofo Jean Luc Nancy ambisce a rifondare l’identità soggettiva in quanto singolarmente plurale e pluralmente singolare.
La mostra è la sintesi della doppia visione del mondo, della doppia attitudine lavorativa, della doppia sensibilità che è diventata ibridazione. Tale contesto è diventato a sua volta un’esperienza sensoriale, pluri-soggettiva e sconfinata. Il proprio Sé scivola e si abbandona in una dimensione alterata e intercambiabile. In realtà si tratta della creazione di una sorta di multiuniverso sinestetico, nato dalla differenziazione delle due soggettività degli artisti e che si è fusa nella comune ricerca delle oscillazioni del pensiero creativo.
La pluri-soggettività è in fondo il nodo di tutto l’impianto realizzativo della mostra di Candeloro e Duff, il perno che concilia essere singolare ed essere plurale, come soprattutto, il video palesa nel suo fluire.
In una incessante fenomenologia del volto (sono circa un centinaio di visi inquadrati) le differenti identità sono accomunate da Candeloro e Duff grazie allo scorrere del testo. I volti, infatti, sono assimilati dai due artisti a degli schermi recettivi su cui la parola proiettata da fasci di luce laser diventa il loro collante. Il flusso video si scardina secondo il gioco di differenza e ripetizione e che come afferma Gilles Deleuze: "tutte le identità non sono che simulate, prodotte come un effetto ottico, attraverso un gioco più profondo che è quello della differenza e della ripetizione". [1]
Seguendone il concettualismo deleuziano si evince che ciò che si ripete non è l'identico. Questo è il meccanismo della ripetizione dell’oggetto che sta alla base dell’idea elaborata da Candeloro e Duff, la cui concatenazione di volti e di paesaggi esclude l’identicità e incarna la differenza.
D’altro canto la rappresentazione contemporanea ha innegabilmente deviato dalla logica della ripetizione tradizionale intesa come negazione. Piuttosto essa é concepita come affermazione attraverso la rielaborazione di "moduli ripetitivi", di oggetti spaesati e spezzati, che ospitano realtà eterogenee al proprio interno, che si scompongono o si sconnettono sconvolgendo in infiniti modi il concetto dell'originale e della copia.
Al tempo stesso il flusso di immagini trascrive la dualità tra i volti-oggetti ripetitivi e differenti del video e le parole (sorte come discorso interiore o spazio dell’inconscio dei due artisti), che si propagano come luce testuale sulla soggettività azzerata dei volti in sequenza. E’ come se Candeloro e Duff, in una processualità assai sofisticata, avessero oggettualizzato i volti avendone azzerato lo sguardo e sottratto la parola per dar voce ad al proprio flusso di coscienza.
In questa dualità se ne inserisce un’altra ancora ben più marcata che è quella tra natura e artificio: la natura umana e l’artificio tecnologico. La pelle del volto umano e la luce del laser. Una sorta di corrente che pervade il soggetto dai neuroni all’epidermide. In questo ciclico alternarsi di apparizione e sparizione del volto, di buio e di luce, la pelle diventa elettronica e il testo, che non è mai un truismo, diventa narrazione subliminale. L’amplificazione della dialettica natura e artificio, sì da divenire un artificio naturale, rimbalza nelle immagini fotografiche dove il paesaggio ripreso in notturna, nelle differenti location, si articola e coesiste sempre per differenza e ripetizione.
Le immagini dei notturni sono di per sé puro artificio, per la saturazione dei colori prescelti, quasi pestati o usciti da film post-gotici. Candeloro e Duff le rianimano da fasci laser verde, acido e fosforescente, che si interconnettono allo sfondo con un testo improvviso e imprevisto e che ne architettano una visione alterata.
Teresa Macrì
[1] Deleuze G.,1968, Différence et répétition, Presses Universitaires de France, Paris, (trad.it. 1972, Differenza e ripetizione, Il Mulino, Bologna, pag. 2)
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